Non è tutto, non è poco

Roberto Beccantini6 ottobre 2018

Passava ben altro, il convento di Udine, ai tempi di Bierhoff e Totò (Di Natale), ma questo vale per tutti coloro che affrontano le versione attuale, figlia dei «letti a due piazze» che la famiglia Pozzo condivide con il Watford. La Juventus ha vinto facile, ha vinto bene. E siamo a otto su otto, dieci su dieci calcolando la Champions. Voce dal fondo: la prima Roma di Garcia si arrampicò fino a dieci successi consecutivi in campionatoi, eppure non vinse nulla. Calma, dunque. Come no: calma.

Le scartoffie d’archivio sono bussole ambigue. Mi pare, scritto con tutto il tatto possibile in rapporto ai ruderi circostanti, che Allegri abbia scelto un atteggiamento più europeo. Non che prima fosse solo catenaccio e contropiede, ma dava spesso l’impressione – a me, almeno – non tanto di poter fare di più, quanto di poter fare meglio.

Una Juventus molto d’attacco nella formazione e nella gestione: ha chiuso l’avversario dentro la sua area e, rispetto a Frosinone, ne ha aperto il catenaccio già alla mezz’ora. E non solo per gli episodi: anche, e soprattutto, per le azioni. Bello il gol di Bentancur, il primo alla Giuve, per la garra di Dybala e il cross di Cancelo. Bellissima la fucilata di sinistro di Cristiano, un Cristiano da sei e mezzo, su sponda di Mandzukic.

A fronte di una palla-gol concessa a Lasagna e sventata da Alex Sandro, e di un paio di tiri da lontano (palo di Barak), il dominio è stato globale. Continuo a non capire i venti milioni di Mandragora, sono felice per il recupero di Scuffet, migliore in campo. Dopo di lui, Cancelo. Sono molti, però, a meritare la citazione: da Mandzukic (Mario, perdonali) a Pjanic, dalla coppia Bonucci-Chiellini allo stesso Bentancur.

A e da Manchester ne sapremo i più. Quello che già sappiamo non basta, ma poco non è.

Napolissimo

Roberto Beccantini3 ottobre 2018

Non seguite il risultato, scarno e tribolato: vi porterebbe fuori strada. Napoli-Liverpool 1-0 è stata una piccola, grande, lezione di Ancelotti a Klopp. Subito tre stopperoni (Maksimovic, Albiol, Koulibaly) a marcare il territorio e poi, nel finale, forze fresche (Mertens, soprattutto) e idee chiare. In mezzo, tanto Allan, una partita sempre sotto controllo e avversari spesso sotto schiaffo. Basta prendere il primo ventello dello Stadium e spalmarlo sui 97 minuti del San Paolo: se non in brillantezza, almeno in concentrazione, in forza, in lucidità. Et voilà.

Un gol «parato» sulla linea a Callejon, la traversa di Mertens, la rete di Insigne al 90’: e di fronte c’erano i finalisti di Kiev, Mané, Firmino, e Salah, 50 reti nelle ultime sedici di Champions. Questa volta, invece, manco uno palla-gol. Brividi sparsi e modici, molto modici: ma palle-gol, ripeto, zero.

E’ qui la festa, è qui la differenza di una notte, con un Napoli addirittura in testa al gurppo, nonostante lo 0-0 di Belgrado, e un Liverpool che non sembrava nemmeno il Liverpool: banale nelle scelte e alla mercé dei rivali persino sul piano fisico. Ne ha vinte cinque, Carletto, di Champions: due da giocatore e tre da mister. Conosce gli squali psicologici e tattici che infestano i mari d’Europa, ha ricavato tutto da tutti, ha trasformato l’ordalia in un braccio di ferro che le teste e i muscoli dei suoi hanno tirato da una parte: la parte giusta.

Quattro partite, quattro vittorie: è ancora presto per comunicare al mondo che il calcio del campionato italiano è più «allenante», ma intanto teniamoci queste tracce. Guerriera anche l’Inter a Eindhoven. Dal Tottenham al Psv, seconda rimonta e secondo graffio di Icardi. Inoltre: non è solo il gol a fissare i progressi di Nainggolan; Politano blinda la fascia; Handanovic si aggiudica per k.o. tecnico il duello indiretto con Zoet. Spalletti gongola: l’Inter non è più l’anti-Inter.

Luna park Europa

Roberto Beccantini2 ottobre 2018

Era la prima senza Cristiano (e senza Marotta: grazie di tutto). Una passeggiata di salute, con l’Omarino sul podio. Quando il gatto non c’è, i topi ballano. E Dybala, là davanti, ha ballato e fatto ballare: tre gol (bellissimo il primo: sinistro al volo su lancio di Bonucci)), un palo, tocchi felpati, rammendi da premiata sartoria. Lo Young Boys ne aveva presi tre, in casa, anche dal Manchester United di Mourinho, uno United non proprio al massimo. Piano, quindi, con lo champagne e le tartine d’incenso.

Il problema di Allegri, ammesso che tale sia, riguarda l’impiego contemporaneo di Cristiano e Dybala. Finora, non è che la separazione dei pani e dei pesci sia stata poi così avara, così spericolata: nove partite, nove vittorie. Si tratta di raffinare l’intesa: labile a Frosinone, ma già meno episodica con Bologna e Napoli.

Mandzukic si è preso un turno di riposo (ne aveva facoltà), mentre Cuadrado attraversa il classico periodo in cui tutto, per il suo destro, diventa la cruna di un ago. Bernardeschi, lui, ha ribadito la vena dei giovani Holden che, al momento del dunque, si lasciano ingolosire dalla porta invece di farsi incuriosire dal compare meglio piazzato. I Boys, fra parentesi, avevano un portiere che non ne teneva una.

La Roma, da parte sua, ha disposto brillantemente del Viktoria Plzen. Il «disgustato» inviato urbi et orbi da Pallotta dopo le nefandezze di Bologna è stato seppellito sotto il 4-0 al Frosinone, il 3-1 nel derby e il 5-0 ai modesti cechi. Come Dybala allo Stadium, tripletta di uno straripante Dzeko. Non timbrava da Torino. Dopodiché: giro-palla verticale e vorticoso, traversa e rete di Under, tapin di Kluivert, grappoli di occasioni e un Pellegrini più testa che tacco, pedina cruciale nella lavagna di Di Francesco.